L’estrazione dell’olio dalle olive è stata da sempre caratterizzata da due fasi: la rottura delle cellule delle olive, e la separazione dell’olio dalla parte solida dell’oliva e successivamente dalla parte acquosa.
All’epoca degli Egiziani i mortai primitivi erano costituiti da una pietra cava all’interno della quale venivano pestate le olive con l’aiuto di un grosso sasso facendo colare, in alcuni casi, il liquido in cavità adiacenti. In seguito avveniva la pressatura della pasta ottenuta, racchiusa in una fitta corona di ramoscelli di olivo, sotto il peso di alcuni massi. Il mosto oleoso era raccolto e versato in recipienti di terracotta, dove si aspettava che l’olio affiorasse per essere separato dalle acque di vegetazione.
Altra metodologia di separazione, leggermente più evoluta, era rappresentata dai torchi a sacco. Le olive già pestate venivano inserite in robusti sacchi di tela per poi essere attorcigliati con l’ausilio di due bastoni, inseriti negli appositi cappi realizzati alle due estremità, o fissando un capo del sacco a una intelaiatura rigida, in modo da applicare la forza a una sola estremità.
Altra tecnologia di spremitura si ebbe con l’introduzione della pressa a leva, sistema nel quale la trave, grazie al carico di grossi massi, premeva sulla colonna di fiscoli in fibre intrecciate contenenti la pasta macinata di olive. In seguito l’olio era convogliato nei recipienti di raccolta tramite canalette scavate nella pietra.
Tra l’VIII e il VI secolo a.C., la coltivazione dell’olivo sbarcò in Grecia. La civiltà greca conosceva già un metodo di macinazione delle olive, molto più efficace rispetto al semplice pestaggio con pietre: una o più grosse macine in pietra, collegate a un palo centrale, venivano fatte ruotare entro una vasca di forma circolare, triturando così le olive.
La tecnologia olearia nell’Antica Roma è descritta da differenti autori facendo notare la grande attenzione per la pulizia. L’olio estratto con i vari tipi di torchi era raccolto mediante recipienti posti sotto la pressa o convogliato direttamente nei recipienti di decantazione. Tramite travasi successivi veniva eliminata la morchia aggiungendo eventualmente del sale tostato se, a causa del freddo, l’olio si congelava insieme alla morchia.
Nel Cinquecento, essendo finalmente subentrato un periodo di relativa pace e tranquillità in seguito alle invasioni barbariche, si ebbe una vera rinascita dell’olivicoltura. In Toscana la raccolta avveniva per brucatura, mentre per gli alberi secolari della Puglia è documentata già in quest’epoca la ràcana, cioè la raccolta tramite bacchiatura e caduta naturale delle olive su di un panno steso sotto l’albero. Si diffondono i torchi a vite; i frantoiani, supportati da lunghe aste, dovevano far girare la vite che permetteva sempre una maggiore pressione sulla fila dei fiscoli.
Il Settecento fu un secolo d’oro per la riscoperta dell’olivicoltura e il risveglio della tecnologia olearia. Venne bandito l’utilizzo di strumenti di rame, soggetti ad ossidazione, e di legno, difficilmente lavabili.
Durante il XIX secolo l’olio era ancora riservato, nel suo impiego alimentare, alle città e ai ceti più ricchi. Documenti dimostrano come già nell’800 erano conosciuti i meccanismi della fermentazione delle olive in mucchi, causa di perdite in qualità e quantità. Viene evidenziata, inoltre, a causa del crescente costo della forza lavoro non più supportata dalla presenza di schiavi, l’attenzione degli operatori verso macchine più pratiche e produttive. È proprio in questo periodo che i torchi alla calabrese (due viti) vengono sostituiti con quelli alla genovese (singola vite) anche nel meridione. Questi erano in genere a stanga mobile: la vite veniva cioè fatta ruotare con l’ausilio di una robusta asta inserita negli appositi fori ricavati nella testa della vite. I montanti del telaio impedivano però all’asta di compiere dei giri completi, rendendo perciò necessario sfilarla frequentemente da un foro per inserirla in quello adiacente. Questo inconveniente venne superato fin dall’Ottocento con l’adozione dei torchi a vite a cricco o a stanga fissa.
Agli inizi del Novecento si diffusero negli oleifici i “maneggi”, meccanismi con i quali si trasmetteva al macchinario il movimento di un animale che girava in un locale adiacente, evitando l’attacco diretto degli animali alla stanga. I torchi erano ormai realizzati in metallo e con meccanismi atti a ridurre gli attriti. Vi compariva per la prima volta la guida centrale in metallo cavo per sostenere la torre di fiscoli. Le pompe che mettevano in moto i torchi idraulici potevano essere azionate sia a mano sia a motore. Una volta separato l’olio, le acque di vegetazione venivano inviate all’inferno.